venerdì 6 giugno 2008

Taj Mahal, 15 quintali di argilla per maschera di bellezza


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Nel suo ufficio, all’interno dello storico forte di Agra, N.K. Samadhiya mostra orgoglioso le foto del Taj Mahal “prima” e “dopo” il trattamento all’argilla. I marmi ingialliti e opachi dalla polvere e inquinamento sono diventati candidi e splendenti come nuovi. “Non è incredibile? E’ un trattamento magico” scherza mentre mostra un barattolo di “fuller earth”, un composto di silicato di alluminio e magnesio. Mischiandolo a dell’acqua distillata si ottiene una sorta di “argilla” che assorbe in modo naturale le impurità delle superfici marmoree senza rischi di corrosione o abrasione. “E’ lo stesso principio di una maschera di bellezza per purificare la pelle. In India questa argilla si chiama “multani mitti” ed è fin dall’antichità comunemente usata dalle donne indiane”.
N.K Samadhya è un chimico e da 5 anni è il responsabile dell’ufficio della Soprintendenza Archeologica Indiana (Archaeological Survey of India) di Agra che ha “in cura” il mausoleo del Taj Mahal, il monumento simbolo dell’India e orgoglio nazionale tanto da coprirlo con dei teli mimetici durante l’ultima crisi militare con il Pakistan. I marmi della tomba costruita dall’imperatore mughal Shah Jahan per la moglie favorita morta di parto, avevano assunto negli ultimi anni una patina gialla che ha fatto scattare l’allarme tra i restauratori della Soprintendenza. Le cause sono l’inquinamento delle polveri sottili e soprattutto l’impatto con il flusso di visitatori che in certi giorni supera anche le 10 mila presenze. Dopo una serie di studi e di test, nel 2000 l’Asi aveva deciso di applicare la “maschera al fango” su una porzione dei marmi. Visto i mirabolanti risultati, l’operazione di pulizia è stata replicata quest’anno sulle 4 grandi volte a botte e sui 24 archi del mausoleo, ovvero sulle parti non esposte alla pioggia.
Dal mese di gennaio sono stati usati oltre 17 quintali di fango per trattare una superficie di circa 5 mila metri quadri. Niyaz Hussain, è il giovane chimico che sta seguendo il gigantesco “facelift” che interesserà nelle prossime tre settimane la facciata meridionale dove sorge l’ingresso ai cenotafi di Shah Jahan e Muntaz Mahal. L’arco centrale è occupato da un’enorme impalcatura in ferro dove 40 operai sono al lavoro per spalmare il composto. “Dopo aver ricoperto la superficie con uno strato di qualche centimetro – spiega – applichiamo un telo di plastica per conservare l’umidità dell’argilla che comincia la sua azione assorbente. Dopo 48 ore è completamente secca e si stacca da sola. I residui vengono rimossi con dei panni morbidi e acqua distillata”.
Il procedimento, che l’Asi pensa di estendere ad altri monumenti marmorei dell’epoca mughal, sta riscuotendo un interesse anche oltre frontiera. “La prossima settimana sono stato invitato ad Hampi, in Karnataka, ad un seminario internazionale dell’Unesco sulla conservazione del patrimonio dove farò un intervento sul trattamento al fango” aggiunge Samadhiya che in passato ha lavorato al restauro di alcuni templi nel sito di Ankor Wat in Cambogia e per tre anni nei monasteri buddisti in Bhutan.

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